Tunisia: tra diritti socio-economici e incremento della disoccupazione

Uguaglianza, redistribuzione e giustizia sociale – ideali della Rivoluzione ieri e criteri base per la costruzione della nuova società tunisina oggi. Intervista ad Abdeljelil Bedoui, presidente del “Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux”

di Denisa Savulescu

Sono passati poco più di tre anni da quel famoso gennaio 2011,  mese durante il quale la Tunisia ha vissuto il crollo di una dittatura e allo stesso tempo ha assistito alla presa di coscienza politica e sociale delle propria popolazione. Passeggiando per il centro di Tunisi ci si imbatte ancora in zone off-limits circondate da chilometri di filo spinato e graffiti che inneggiano alla rivoluzione, alla libertà.

Una semplice chiacchierata con il tassista chiarirebbe le idee su quella che è la situazione attuale: deluso e frustrato dichiarerà che nulla sia cambiato, ma anzi per certi versi la situazione è peggiorata. La nuova classe politica non riesce a recepire quelli che sono gli ideali che hanno ispirato la rivoluzione, o probabilmente le lotte di potere interne al governo non lasciano tempo per la risoluzione di quelli che sono i problemi concreti. Secondo le stime dell’Istituto Nazionale di Statistica tunisino,  nel 2010  la disoccupazione si aggirava intorno al 13%, tre anni dopo  era salita al 16%. Non è stata messa in atto alcuna politica economica, fiscale o monetaria per dare respiro alla già critica situazione della Tunisia. Lo Stato non è stato in grado di portare a termine gli obiettivi della politica fiscale “standard”, grazie anche alla pesantezza del sistema burocratico, all’esagerata centralizzazione dei poteri e all’incapacità delle Pubbliche Amministrazioni locali di agire con maggiore libertà. Lo Stato sembra abbia perso di vista il proprio obiettivo di garante dei diritti civili e socio-economici e di redistributore delle ricchezze e dei poteri per una maggiore uguaglianza sociale. La società civile tunisina, al contrario, si è dimostrata abile a recepire i cambiamenti in atto e anche ad individuare soluzioni alternative per uno sviluppo che tenga conto non solo del mero guadagno ma soprattutto del capitale e dei costi umani, dell’ambiente e della specificità di ogni regione. E’ necessaria una riforma dello Stato, una rivalorizzazione del suo ruolo nell’economia, una decentralizzazione accompagnata da una deconcentrazione dei poteri dal centro verso le periferie. Allo stesso tempo è richiesta una collaborazione ed una partecipazione attiva della popolazione alla vita sociale, politica ed economica del paese nel suo intero ma anche a livello locale.

Tre anni fa, come anche prima del 2011,  le rivolte sono sorte nelle regioni dell’entroterra e del sud del paese, non a caso le regioni con il più alto tasso di disoccupazione ed i più bassi livelli di crescita economica e di benessere. Kasserine, Gafsa, Sidi Bouzid, Siliana sono tra i più importanti simboli della rivolta di ieri e di oggi, si pensi alla giornata del 27 Novembre 2013 organizzata dall’UGTT a Siliana, tutte queste rivolte hanno trovato riconoscimenti nella costituzione di oggi. Vengono riconosciuti diritti economici e sociali, viene dato più ampio spazio di manovra alle amministrazioni locali per riuscire a rispondere prontamente ed in maniera più adeguata alle necessità della popolazione. Nonostante ci vorrà ancora per tempo per vedere messe in pratica queste nuove “conquiste” è già un passo avanti veder riconosciuti tali diritti nella nuova carta costituzionale.

Disoccupazione, povertà, analfabetismo, mancanza di infrastrutture, inquinamento, sfruttamento indiscriminato delle risorse e delle popolazioni locali, disuguaglianze sociali sono temi che avrebbero dovuto avere la priorità assoluta nei programmi dei vari governi post-rivoluzione. La società civile attraverso le numerose associazioni sorte dopo il gennaio del 2011 dà prova di intraprendenza, competenza e desiderio di cambiamento. Se fino a ieri si lottava in piazza e per le strade per vedersi riconosciuti determinati diritti, oggi la lotta al sistema corrotto e all’esasperata lentezza dell’apparato statale si porta avanti attivandosi e partecipando democraticamente alla rinascita economico-sociale di un paese, la Tunisia, che ha visto riconosciuto il diritto di voto alle donne molto prima della democratica e civile Confederazione Elvetica.

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