#Overthefortress a Idomeni (25/04/20126) è un’iniziativa promossa dai Centri Sociali dell Marche e del Nord-Est in collaborazione con Melting Pot.
Dal 25 al 29 marzo 2016 alcuni attivisti di ya basta! Perugia, hanno partecipato alla #Overthefortress march. L’iniziativa, promossa dal progetto Melting Pot, è stata presentata come una marcia di solidarietà attiva ai confini dell’Europa, nel campo profughi di Idomeni fra Grecia e Fyrom, con l’obiettivo di supportare le migliaia di persone che vivono nel campo e al tempo stesso denunciare gli accordi UE-Turchia, che proprio in quei giorni entravano in vigore.
L’iniziativa insiste in un momento cruciale rispetto al prefigurarsi dell’ennesima occasione persa per l’Europa nell’individuare una soluzione politica a tutela della libertà di movimento delle persone, in particolare di quelle provenienti da zone di conflitto. Una fortezza Europa, in grado al momento di rilanciare solo proclami vuoti, quando la già drammatica situazione che si consuma ad Idomeni, non sarà altro che il futuro e il passato di quello che potrà verosimilmente accadere in altri punti caldi, come Ventimiglia e il Brennero, quando con l’estate riprenderanno più insistentemente gli sbarchi attraverso la rotta mediterranea.
Essere ad Idomeni adesso, rappresenta quindi non solo l’occasione di denunciare questo ennesimo fallimento, ma per rilanciare un’attenzione continua verso un processo di mobilitazione collettiva che dovremmo affrontare nei prossimi mesi.
Questo secondo punto è quanto mai attuale e sentito, e alla marcia hanno preso parte più di 300 attivisti, per la gran parte partiti dal porto di Ancona, un gruppo molto eterogeneo per interessi, capacità e prospettive, ma tutti impegnati nei propri territori la battaglia per la libertà di movimento.
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L’impatto con il campo di Idomeni è subito molto forte, il viale d’accesso alla zona tende nei pressi della stazione ferroviaria è affollato da uomini e donne e soprattutto bambini. Al tempo stesso la presenza, per certi versi improvvisa, di circa trecento attivisti contraddistinti con una pettorina fosforescente, rappresenta sicuramente una novità e quindi perché no, un’opportunità. Le persone del campo sono esasperate, molti di loro sono ad “aspettare” da più di un mese, passando il periodo più freddo e sicuramente più piovoso in mezzo al fango, all’acqua e … al niente. Un unico bisogno è evidente: aprire le frontiere. Nel campo vengono stimate circa 12.000 presenze, prevalente nuclei familiari con diversi figli. Il principale paese di provenienza è sicuramente la Siria e in percentuale minore si contano anche afgani, iracheni e curdi. L’intera gestione del campo è affidata al personale di Medicins sans frontiere mentre le organizzazioni internazionali, come OIM e UNHCR, oltre ad una presenza marginale, assicurano pochi servizi, per lo più legati alle operazioni concordate con il governo. All’ingresso del campo si registra la presenza fissa di un cellulare della polizia, impegnata a presidiare il passaggio dei treni merci, a pochi metri dalla barriera fortificata con la Macedonia.
La vita all’interno del campo prosegue lentamente, per lo più facendo code: per i pasti, per i pochi servizi igienici organizzati, per il the…
La distribuzione degli aiuti, avvenuta prevalentemente tenda per tenda evitando assalti disordinati ai furgoni, è anche l’occasione per fermarsi a parlare con le diverse persone. La prima cosa che colpisce è la loro fiera dignità, non c’è spazio per la compassione né tempo per la disperazione. Nonostante la guerra, il viaggio affrontato per scappare dal proprio paese ormai distrutto e le attuali condizioni di privazioni, la loro presenza è la testimonianza diretta e il simbolo di come lo stato attuale di conflitto e di restrizione dei diritti, può e deve essere sconfitto.
Nei due giorni di presenza al campo la marcia #overthefortress è riuscita a organizzare la distribuzione di aiuti (prevalentemente scarpe e vestiario, soprattutto per bambini) e a realizzare un’importante copertura mediatica di tutto l’evento soprattutto rilanciando la sfida alle frontiere d’Europa, da Idomeni al Brennero. Un assaggio di ciò che questo potrà comportare, l’abbiamo conosciuto quando la polizia greca ha bloccato, la domenica mattina, l’ingresso degli aiuti portati dagli attivisti al campo. Solo dopo diverse ore di pressione, la marcia ha potuta finalmente superare il blocco e raggiungere il campo
Prezioso è stato inoltre il contributo del team di giuristi che ha accompagnato la marcia. Attraverso la loro indagine, abbiamo potuto ricostruire l’incredibile percorso che i patti EU-Turchia prevedono per l’avvio della procedura di protezione. Idomeni è un’esperienza simbolica da molti punti di vista, sospeso su una sorta di limbo che tutti hanno paura ad affrontare: difficilmente chi ha resistito tutto questo tempo, sarà disposto ad essere “ricollocato volontariamente” presso uno dei centri governativi realizzati. Difficile che qualcuno potrà essere persuaso che la procedura predisposta potrà realisticamente portarli Europa.
Ascolta l’intervista di Giulia Crescini – ASGI – membro del team giuridico
Mentre l’ultimo giorno la marcia si è diretta verso Salonicco per lanciare un presidio ed una manifestazione insieme ad altri collettivi, associazioni e gruppi greci, alcuni attivisti sono rimasti nel campo per portare a termine la realizzazione di un gazebo attrezzato. La marcia è riuscita a portare corrente continua 24h per illuminare la zona dei servi igienici (ancora al buio) e soprattutto per portare la connessione internet: non solo per assicurare una modalità per ristabilire un contatto con i propri cari e familiari, ma soprattutto per provare ad accedere alla procedura di richiesta del visto. Il progetto del gazebo ed altri ancora che potranno nascere all’interno della campagna #overthefortress sono interamente finanziati dal basso attraverso crowdfunding, che è possibile tutt’ora sostenere
Lasciamo Idomeni con tanti dubbi e forti certezze: non è l’Europa delle frontiere e dell’austerity quella che vogliamo, incapace di garantire diritti e libertà, a partire da quella di movimento. Al tempo stesso, la sfida lanciata ad Idomeni dovrà essere raccolta dai territori, nel riportare e denunciare quanto succede e soprattutto per rilanciare un processo di mobilitazione condiviso. Da idomeni è partita una nuova sfida e non possiamo più aspettare a raccoglierla.
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