Il razzismo in Tunisia raccontato da Stephanie Pouessel, ricercatrice presso l’IRMC.
di Marta Pasqualini
Stephanie Pouessel è una ricercatrice in antropologia politica che lavora presso l’IRMC (Institut de Recherche sur le Maghreb Contemporain) , a Tunisi. Da anni la sua ricerca è incentrata sulle questioni relative alla discriminazione delle minoranze e sulle rivendicazioni culturali ed identitarie degli amazigh e della popolazione nera in Tunisia.
Ci incontriamo nel giardino interno dell’IRMC e, sotto il sole di una prematura primavera tunisina, parliamo di discriminazione e razzismo.
“ La questione del razzismo in Tunisia non è assimilabile alla generale problematica della discriminazione sui neri in America o in Europa. Ha una sua specificità.” La sua peculiarità, sostiene Stephanie, è fatto che si rivolge ai con-cittadini tunisini, neri. “è un problema che riguarda una minoranza di persone, certamente, ma quelle persone sono a tutti gli effetti Cittadini, Residenti, Tunisini.”
Cittadini a metà. Cittadini che formalmente godono di eguali diritti e doveri ma che sostanzialmente vivono una sorta di marginalità di diritti, costantemente vittime di vili discriminazioni.
“La seconda particolarità è la latenza.” Il razzismo è un tabù. Nessun tunisino parla apertamente della questione. Secondo Stephanie Pouessel è perché, di fatto, riguarda la sfera personale di un’ esigua minoranza dei tunisini. “È un fenomeno che è venuto a galla grazie ad una trasmissione radiofonica che, per prima, ha denunciato il problema degli inesistenti matrimoni misti tra persone bianche e persone nere.”
La discriminazione non si esplicita, passa attraverso la parola. Il linguaggio comune, dialettale, si fa vettore di messaggi razzisti e ingiuriosi “oussif” “abid”( servo, schiavo) sono generalmente usati per riferirsi alle persone nere. Ma qualcuno, un giorno, ha alzato il velo sullo questione attraverso la creazione di un gruppo su facebook: Assurance de la citoyenneté sans discrimination de couleur.
“Il gruppo è nato nell’ aprile 2011 dall’ esigenza di alcuni cittadini neri di creare uno spazio che potesse essere aperto alla condivisione delle esperienze personali. Questo gruppo su facebook ha permesso, ai cittadini neri, di “incontrarsi” , di parlare di razzismo e di mobilitarsi uniti.”
È difficile, secondo la Pouessel, parlare di coscienza collettiva e di militanza nera in Tunisia. “I cittadini neri tunisini, vittime di discriminazione, hanno, solamente, sollevato il problema e avanzato le prime richieste in seno alla, allora, Assemblea Costituente.” ma non per questo, aggiunge, si possono considerare un interlocutore organizzato della società civile tunisina.
La nuova costituzione, entrata in vigore il 7 febbraio 2014, è vaga in materia di razzismo e lascia al preambolo un divieto generico alla discriminazione internazionale per la quale si intende il divieto di delegittimazione del “popolo” arabo. Nessuna menzione alle discriminazioni sulle minoranze, nessuna menzione ai cittadini neri tunisini.
Anche il tanto acclamato articolo 20, che sancisce l’uguaglianza giuridica in termini di cittadinanza tra uomini e donne, non fa riferimenti al divieto di discriminazione sulla base della razza, colore, lingua, religione o idee politiche.
“É un problema di tipo legislativo che concerne, esclusivamente, i diritti delle persone di colore tunisine. Non è un problema sociale, non è un problema politico.”, conclude la Pouessel.
È partendo dal piano legislativo, quindi, che deve muoversi l’azione politica dei cittadini neri al fine di ottenere una piena uguaglianza sostanziale in materia di diritti civili e politici.
Le richieste della comunità nera sono semplici e chiare: una legge che penalizzi le azioni e i comportamenti razzisti e discriminatori, la fine del tabù che occulta una realtà, purtroppo, fin troppo “internazionale” e comune a tutti popoli.
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